
In questa fase della mia vita, sto cercando di vivere un compromesso tra questi due estremi, in quello che si potrebbe definire una sorta di nomadismo lavorativo stanziale. Scelgo di andarmene a vivere e lavorare in un posto, restandoci però un tempo di media durata, probabilmente lungo abbastanza per farmelo odiare e cercarmene un altro. Questa scelta, che nella sua accezione più larga condivido con chissà quanti milioni di persone nel mondo, dai funzionari Onu ai migranti (anche se per questi ultimi in realtà spesso non è una scelta ma pura bnecessità di sopravvivenza), con tutte le differenze del caso, comporta un grosso rischio, che io chiamo "dividersi la vita".
Stanotte prenderò un aereo, e domani a pranzo sarò a Roma, rivedrò i miei genitori , i miei affetti. D'improvviso i suoni, gli odori e il casino di Calcutta saranno lontani, e lasceranno il posto al calore della mia città sotto Natale, bella come non mai. Passerò da un clima a malapena autunnale al freddo invernale europeo, dall'Hoogly al Tevere, attraversando Ponte Sisto anzichè l'Howrah Bridge. In un modo o in altro, per necessità, sto così imparando a dividermi la vita, ad accelerare la mia capacità di adattamento, in questi sbalzi repentini da una parte all'altra del mondo. Ma ci sono sempre due poli opposti della mia anima, che fanno a cazzotti lungo il filo di emozioni contrastanti.
Vivere in questo modo può avere un suo fascino, ma la schizofrenia emotiva è sempre in agguato. Ogni volta che si riparte, si ha paura di perdere qualcosa, che quella persona che ci ha accompagnato all'aeroporto o ci è venuta a prendere non sarà lì la prossima volta, ad aspettarci paziente mentre già prenotiamo il volo successivo. I nuovi incontri, le nuove facce che si incontrano, sono direttamente proporzionali a quelle che perdi lungo il cammino, a volte anche solo per pura pigrizia, e allora non bastano tutti i facebook del mondo a recuperarle. Si guadagna tanto, certo, ma ci si fanno anche un sacco di domande: mi dovrò fermare? ma soprattutto, a quale stazione?
Credo che, in fondo, anche il mio nomadismo stanziale derivi da un elemento di paura. Probabilmente, la paura di annoiarmi, di non avere nuove sfide da affrontare, di ricomporre troppo la mia vita così da renderla ai miei occhi meno ricca e imprevista. Ma so già che prima o poi mi fermerò, quando ne avrò voglia. E per ora, va bene così.
Buon viaggio a tutti.