sabato 24 maggio 2008

Emergenza continua


La creazione volontaria di uno stato d'eccezione permanente è divenuta una delle pratiche essenziali degli Stati contemporanei, anche quelli cosiddetti democratici (Giorgio Agamben)


Segnalo un bell'articolo di Giuseppe D'Avanzo su Repubblica.it, che inquadra molto bene la nuova tendenza non solo italiana, ma anche europea e mondiale, sul rapporto tra diritti e potere, sicurezza e legalità. Quello che è sempre più evidente è come i governi dei paesi ricchi tendano sempre di più a moltiplicare le eccezioni e le deroghe al sistema universale di tutela dei diritti umani, in nome della sicurezza, della tutela delle patrie frontiere e della sicurezza dei cittadini, della difesa dello stato nazione.
Ma è ancora più evidente come questo sia il modo più incredibilmente efficace per mantenere il controllo sulla vita dei cittadini, azzerare il confronto democratico e delineare una linea sempre più netta tra chi è dentro e chi è fuori. Nel caso italiano, che conosco più da vicino, si tratta chiaramente dell'ennesima maniera per non voler affrontare alle radici un problema ormai strutturale quale l'immigrazione, mantenendolo sempre come un problema emergenziale, e dunque perennemente "estraneo" al "normale" svolgimento della vita pubblica e privata dei cittadini. Così che il diverso resti diverso, sia a livello micro che macro. La Bossi Fini è un evidente fallimento, le espulsioni non funzionano, i Cpt vanno contro lo stato di diritto, le carceri scoppiano. Ma tutto questo sembra non contare nulla, pensiamo a costruire nuovi centri di detenzione mentre i nostri imprenditori chiedono sempre più immigrati, e noi non possiamo fare a meno di badanti e muratori, ovviamente in nero. Invochiamo legalità ma li costringiamo alla clandestinità, attraverso una burocrazia assurda e ingiustificata (avete idea di cosa si debba fare in Italia per avere un fottuto permesso di soggiorno?) e delle condizioni lavorative ingiuste che sono il principale viatico all'illegalità. Ma la schizofrenia dilaga, e agire sembra diventato molto più importante che riflettere, costruire e programmare soluzioni di lungo periodo. Così come è molto più immediato e mediaticamente efficace cercare il capro espiatorio, e nascondere i nostri scheletri sotto un tappeto che si gonfia sempre di più, mentre cerchiamo di tirare a lucido la facciata decadente e decrepita dell'edificio antico in cui viviamo.

I media stanno giocando da tempo un ruolo chiave in tutto ciò. In Italia, sul modello americano, siamo sommersi dalla disinformazione, o meglio, dalla mala informazione, che amplifica solo ciò che fa comodo al mantenimento dello status quo e aumenta il senso di paura e insicurezza dei cittadini. Ricordate l'omicidio di Giovanna Reggiani a Roma? Il giorno prima, in cronaca di Roma su Repubblica, era apparso un trafiletto in cui si diceva che una donna rumena era stata trovata morta, probabilmente violentata, nella borgata La Storta a Roma. Il giorno dopo, scoperto che la donna era italiana, orrore, sdegno, raccapriccio, (finte) espulsioni immediate, (inutili) sgomberi.

A che gioco stiamo giocando? E' la fine orribile di una vita umana, che ci colpisce e ci sdegna, o questo avviene solo quando funzionale al suo possibile riutilizzo per allontanare i nostri demoni e cacciare le streghe?

Giulietto Chiesa
scrisse una volta che il modo migliore per manipolare l'informazione è affogare le vere notizie in un mare di non-notizie. Esattamente quello che si verifica ogni giorno sui nostri schermi, e questo va ben oltre i problemi legati al fenomeno immigrazione, bensì condiziona a livelli enormi la percezione che la gente ha della realtà che la circonda e dei politici che la governano. Al punto che se un giornalista va in televisione e riporta dei fatti scritti in un libro, fatti che nessuno ha mai smentito, tutti a stracciarsi le vesti e a gridare allo scandalo. Già. Tanto i libri non li legge nessuno, ma la televisione domina le nostre case, in un paese dove il tubo catodico è ancora il principale veicolo di informazione, e fa il bello e il cattivo tempo.

Tornando al discorso iniziale, chiudo citando un mio amico, Daniele Scaglione, che nel suo blog, raccomandando un libro di Fabrizio Gatti (che non ho ancora letto) scrive poche righe che condivido in toto.

Non basteranno i blocchi navali.

Non serviranno mille centri di permanenza temporanea, né leggi come la Turco-Napolitano o la Bossi-Fini, meno che mai potranno far qualcosa le 'ronde padane', i poteri speciali ai prefetti, gli 'allontanamenti', i 'fogli di via'.

Queste sono solo buffonate, che non fermeranno chi attraversa il deserto, facendosi percuotere dai militari ai posti di blocco, sopportando le torture della polizia di un paese, la Libia, con cui l'Italia si vanta di fare accordi di cooperazione.

Non fermeranno chi è disposto a farsi schiavizzare da caporali delle piantagioni di pomodoro e da stimati ingegneri dei cantieri dell'alta velocità.

La soluzione è un'altra: combattere la povertà nel mondo, magari non solo a chiacchiere.

Ma prima di tutto dobbiamo renderci conto che la priorità, nel nostro paese, non è la 'sicurezza'.

E' uscire dal Medioevo in cui siamo piombati, come racconta Fabrizio Gatti in Bilal. Il mio viaggio da infiltrato nel mercato dei nuovi schiavi, uno dei libri più importanti che possiate trovare in circolazione.

mercoledì 21 maggio 2008

Hop on hop off

Taxi. Bus. Metro. Autorisciò. Risciò a pedali. Risciò umano. In una città sempre in movimento come Calcutta, i mezzi di trasporto, qualunque essi siano, sono il sangue che scorre nelle arterie, nelle sue vene, di giorno e di notte. Ci si muove con qualsiasi cosa, con ogni mezzo, e non sempre è detto che il più co modo sia il più rapido. Il tempo che passi sui mezzi di trasporto può essere lunghissimo, anche ore e ore solo per andare e tornare da un punto all'altro, e allora devi sempre cercare di studiare la combinazione migliore che ti permetta di metterci meno tempo, riuscendo anche magari a non farti venire un enfisema polmonare.

E' curioso come a Calcutta la metropolitana, posto che di solito viene considerato come un male necessario, soprattutto nelle ore di punta, o un ritrovo di sbandati, sia qui invece il luogo pubblico probabilmente più fresco e pulito in cui ci si possa imbattere. Un'unica linea, che taglia la città da nord a sud, da Tollygunge a Dum Dum, con i suoi ventilatori sempre accesi e i monitor che trasmettono vecchi video di canzoni bengalesi e i 100 goals più belli del campionato inglese. Funziona bene, è pulitissima e puntuale. E tutto questo per sole 8 rupie, poco più di 10 centesimi di euro. La metropolitana più antica dell'India, motivo d'orgoglio per i calcuttesi. E la stanno anche prolungando...magari per il 2100 ce la faranno.

L'autorickshaw o autorisciò è sicuramente il mezzo più curioso e divertente, diffuso in tutta l'India e geniale taxi collettivo. Sono dei veicoli a tre ruote, tipo Ape Piaggio, dove i conducenti caricano fino a 5 passeggeri. Tutti qui li chiamano semplicemente auto (leggi oto). Hanno delle tratte stabilite, che fanno avanti e indietro tutto il giorno tutti i giorni, divincolandosi nel traffico folle e sfrecciando tra gli autobus colorati e le nuove utilitarie del miracolo indiano. La prima volta che lo prendi, non hai la certezza matematica di riuscire a scendere prima che si sia cappottato almeno una ventina di volte. Poi impari ad apprezzarli, anche perchè gli autisti di autorisciò sono di un'onestà imbarazzante, ti ridanno anche mezza rupia di resto e quasi si offendono se non la vuoi. Piccolo problema: inquinano tantissimo. Pare che ci sia un piano della municipalità per riconvertire tutti gli autorisciò a gpl. Ma la maggior parte di quelli che attualmente circolano non sono registrati, e questo rende questo piano perlomeno ambizioso.

I risciò a pedali in alcune zone sono indispensabili, soprattutto nei quartieri dove i taxi non si avventurano per le strade troppo strette. E quando vedi questi uomini magrissimi, tutto il giorno a pedalare sotto il sole respirando tonnellate di smog, soprattutto quando trasportano queste belle matrone bengalesi panzone avvolte nei loro sari, ti verrebbe voglia di farlo correre a loro il Giro d'Italia o il Tour de France. Non so se sarebbe più avvincente, ma sicuramente girerebbe meno droga e tutto sarebbe più realistico

Il risciò umano non l'ho ancora mai preso, cercando di evitarlo per un mio molto occidentale senso del pudore. In realtà, per i risciò pullers, il loro è un lavoro come un altro. Il governo della città aveva provato a cacciarli, qualche anno fa, dal momento che davano una brutta immagine della città, questi risciò umani che trasportano i loro carri a piedi nudi. Ma non ce l'hanno fatta, e credo che Calcutta sia l'unica grande città in tutta l'India dove ancora li puoi trovare. E tra l'altro, pare siano anche l'unico mezzo di trasporto funzionante durante gli allagamenti monsonici.

L'autobus è una buona soluzione, se solo riesci a capire dove va e dove stanno le fermate, che non sempre sono indicate molto chiaramente. Il metodo è quello sudamericano: lo prendi al volo e ti butti al volo quando devi scendere. Niente porte automatiche, niente finestrini. Il deus ex machina è un tizio che passa le sue giornate con un rotolo di biglietti in mano e una sacchetta coi soldi. Oltre a fare da bigliettaio, rendendo pressochè impossibile non pagare il biglietto, funziona anche da prenotatore di fermata e specchietto retrovisore per il conducente. Quando il bus si deve fermare, batte una volta. Quando è pronto per ripartire, una volta che i passeggeri sono scesi alla loro fermata, batte due volte e il bus riparte. Ma non è sempre detto che il suo doppio battere corrisponda all'effettiva discesa dal mezzo di tutti i passeggeri, specie dell'ultimo malcapitato della fila. Per cui, quando prendi un autobus a Calcutta, preparati a saltare, e soprattutto, a girare la testa verso sinistra appensa scendi. Se sei distratto, niente di più facile che un autista di autorisciò spunti a tutta velocità e decida di farti salire a bordo, anche contro la tua volontà. O che decida, molto più semplicemente, di salirti a bordo.

Nella foto: scorcio dello slum di Howrah ripreso da un risciò a pedali dal Magritte medesimo.

mercoledì 7 maggio 2008

Un punto più in là


Si è chiusa una settimana lunga, forte, fatta di lavoro intenso e solitudini, anche un po' cercate, di dolore riflesso e nuovi incontri, del brusco passaggio dal caos cittadino alla pace di nuove frontiere. Tante emozioni, davvero, che mi tengo dentro, perchè comunque non è questo lo spazio giusto per parlarne.

Una cosa mi resta, e sono i paesaggi e i monasteri del Sikkim, il ventiduesimo stato indiano, incastrato tra il Nepal e il Tibet, dove purtroppo sono riuscito a stare solo due notti e una giornata, dopo un'ora di aereo e le cinque ore di macchina forse più travagliate della mia vita. Non starò qui a menarla con la storia del Sikkim, anche perchè le poche cose che so io potete tranquillamente trovarle su una qualsiasi guida o su Wikipedia. Quello che mi porto dentro sono le montagne, dove non tornavo da tanto, una bella camminata tra la pioggia e le sanguisughe, passando attraverso un monastero buddhista sulla cima di una collina. L'aria fresca come non la respiravo da tempo.

Sono giorni di passaggio, fisico e mentale. La mia vita qui si sta stabilizzando, anche se per certi aspetti è molto più precaria dell'inizio. Tutto è molto forte, sempre, e questi due mesi trascorsi mi sembrano anni.

E ognuno intanto si fa il suo giro, questo pensavo mentre guardavo le mie compagne di viaggio, i loro volti assorti lungo la strada. Gente che per curiosità, passione, caso o chissà cos'altro, ha scelto di vivere almeno parte della sua vita lontano da un posto che potrebbe chiamarsi casa.
E lo pensavo guardando il piccolo Buddha che mi spiegava gli affreschi del suo monastero dal nome impronunciabile.

Gli chiedo quanti anni ha, mi pare mi abbia detto di averne quattordici. E' lì solo da pochi mesi, e lo attende una vita di studio e meditazione. L'avrà scelto lui? Sa cosa sta facendo? A un certo punto tira fuori delle monete da un sacchetto. Vengono da tutte le parti del mondo, forse gliele avranno regalati i turisti, che frequentano sempre di più la zona. La mia collega gli regala una moneta da un euro e una da venti centesimi. Lui le sorride e la ringrazia, mentre la luce di una mattinata nuvolosa illumina le stanze affrescate e le statue di Buddha. Fuori, nel vento, sventolano grandi bandiere gialle, rosse, blu, e le loro preghiere riempiono la vallata.