lunedì 19 gennaio 2009

...e l'attesa finì.

lunedì 12 gennaio 2009

L'attesa


Da una ventina di giorni sono in attesa di risposta alla mia domanda di visto per tornare in India. Non mi dilungherò sulle ragioni di questa attesa, e tranquillizzo quanti vogliono andare in India per turismo: il visto turistico è molto semplice da ottenere, basta pagare e il giorno dopo ce l'hai, quindi niente panico.
Quello su cui riflettevo è piuttosto la condizione in cui si trova un migrante nel momento in cui chiede un permesso di soggiorno per poter lavorare regolarmente in Italia o in altri paesi occidentali. Anche io sono un migrante in questo senso: ho chiesto un visto per poter lavorare in un paese straniero e l'ambasciata sta facendo degli accertamenti. Nel frattempo, io continuo a lavorare da Roma col mio computer, ho un tetto che mi accoglie, uno stipendio...insomma, per me aspettare un po' non è sicuramente seccante, ma non certo una questione di vita o di morte. Però mi rendo conto che, almeno in parte, il corso della mia vita è un po' ostaggio della burocrazia di un paese straniero, di ufficiali che scrutano il mio passaporto e si chiedono perchè voglio andare nel loro paese e a fare cosa, quando io voglio semplicemente andare a lavorare. Vi assicuro che non è una situazione piacevole, sentirsi dire ogni volta: "Richiami domani". E vivere, nel mio piccolo, con un minimo di incertezza sulla data della mia partenza.

E cosa vorrà dire allora, per un migrante, uno che come me, ripeto, chiede semplicemente il permesso di lavorare in un altro paese, cosa vorrà dire girare di questura in questura, affrontare la folle burocrazia italiana, sentirsi chiamare clandestino anzichè, come sarebbe corretto, persona non provvista di documenti? Essere umiliato, visto a priori come una minaccia, un pericolo, a prescindere dal suo reale comportamento? Cosa deve provare una badante che lavora da 10 anni in Italia e a cui non rinnovano il permesso di soggiorno perchè magari quell'anno non rientra in una quota? Sentire che la legalità ti respinge, che quello stesso stato che ti chiede di integrarti e di comportarti bene ti dice anche di farti da parte quando non servi più, nonostante tu abbia lavorato e ti sia fatto il mazzo per anni.

Forse noi non possiamo renderci conto davvero di cosa vuol dire. Io sto provando sulla mia pelle solo un millesimo di quello che prova una persona che rischia ogni giorno di essere espulsa, di ritornare in un paese dove probabilmente non ha futuro, di essere costretta, per sopravvivere, a prendere la strada sbagliata. Non è un giudizio di merito, sono solo riflessioni sulla condizione di gente per la quale, a differenza dei migranti ricchi come me, un timbro su un passaporto è davvero una questione di vita o di morte.

domenica 4 gennaio 2009

Brigate rozze

Girovagando in questa domenica mattina oziosa nel supermercato del narcisismo e del fancazzismo virtuale, ovverosia Facebook, mi imbatto con non poca sorpresa nel gruppo "Brigate Rosse". Eh sì. Il delirio informatico e probabilmente l'assenza di cose migliori da fare ha portato qualcuno a creare un gruppo, che ha quasi 300 iscritti, nel quale, oltre a triti e ritriti dibattiti sugli anni di piombo combattuti a colpi di scritte e slogan sul wall, trovano spazio arguti e modernissimi inni alla lotta armata, alla rivoluzione, al prendiamo la p38 in mano e quant'altro. Il tutto, ovviamente, firmato e controfirmato, dato che Facebook, si sa, è per antitesi allergico alla privacy.
Di gruppi idioti, razzisti, fascisti e quant'altro, su FB ce ne sono a bizzeffe, come in tutta la rete. Quello che però mi preoccupa è il livello di stupidità di gente che si dichiara pronta a impugnare le armi e che magari poi nel profilo si scambia gli orsacchiotti virtuali. Ma sanno davvero di cosa parlano, e soprattutto, in quale sede? Spulciando tra gli illuminanti e illuminati messaggi, c'è addirittura chi propone una cena per parlare a quattr'occhi lontani da orecchie indiscrete (?!?), arrivando quindi a pensare di gettare le basi della rivoluzione armata durante una mangiata da "Peppe er fracicone", organizzata magari con uno scambio di messaggi sull'inbox (così è tutto segreto e la digos non si accorge di nulla, no?).

Qualcuno potrebbe dire che un gruppo così sia pericoloso, oppure offensivo. Ma l'offesa più grande è di sicuro quella che gli iscritti al gruppo fanno all'intelligenza di qualsiasi essere umano dotato di un minimo di cervello, oltre che a loro stessi, dato che non si tratta di un gruppo con velleità di ricostruzione storica, ma nel quale qualcuno ha addirittura creato un dibattito a parte nel quale si chiede chi degli iscritti è davvero disposto a impugnare le armi!!!

E se è vero che il peccato peggiore è la stupidità, sti 300 minchioni meritano un girone a parte.