giovedì 28 gennaio 2010

The city that never sleeps

“You know what? Mumbai is not India!”.

J. sgrana gli occhi, mentre lo esclama. E quasi non ci crede, quando gli dico che da 2 anni vivo a Calcutta. Ha 40 anni, portati alla grande. Alto e robusto, occhi profondi e capelli lunghi, J. è nato a Mumbai da genitori indiani, padre militare e mamma insegnante. Tuttavia, ha origini curiose, dato che suo nonno paterno era un soldato tedesco impiegato sul fronte birmano, finito ad Agra non si sa bene come dopo la guerra, e sua nonna un’infermiera cingalese, che su quel fronte si è innamorata di quel bel soldato bianco. J. lavora per un’importante agenzia di eventi di spettacolo. Lui e la sua unità, in pratica, devono assicurarsi che tutte le più importanti stelle di Bollywood partecipino a questi eventi, e fare in modo che tutto fili liscio. Ne sa parecchio lui, sulle capricciose divinità della più grande industria cinematografica mondiale, ma non vi svelerà mai e poi mai nulla su di loro che non sappiate già. E’ un professionista serio, J., e una persona estremamente intelligente. Sposato, divorziato, con una figlia piccola, J. convive da un anno e mezzo con il suo ragazzo, un francese della mia età, attore belloccio e di belle speranza che vive nella capitale del Maharastra da ormai 5 anni. Presto vi rappresenterà il suo primo monologo, metà in inglese, metà in hindi, in un elegante teatro costruito alla fine degli anni ’70 e immerso nel verde, a due passi dalla famosa Juhu Beach. Soggetto? Che domande…Mumbai!.

J. ha girato mezzo mondo, e adora viaggiare. Ma se gli chiedi in quale città vuole vivere, non ha un attimo di esitazione nel risponderti: quella in cui vivo ora. L’unica possibile alternativa, per un vero mumbaikar come lui, potrebbe forse essere New York, che ama molto, ma che, inevitabilmente, finisce per definire “a cleaner Mumbai”.

Una storia come quella di J. difficilmente la puoi trovare in un’altra metropoli indiana. O meglio, difficilmente ne puoi trovare così tante. Mumbai è quanto di più lontano ci possa essere da un certo noioso immaginario occidentale dell’India remota, pacifica e spirituale, e va ben oltre l’idea di ricchezza e progresso che possiamo leggere dai numeri sulla crescita del pil della nuova India. Sfacciatamente più ricca e cosmopolita di Calcutta, ben più glamourous e divertente di Delhi, meno bacchettona e provinciale di Bangalore, Mumbai, o Bombay, o come la vuoi chiamare, è la sintesi perfetta dell'ultima generazione di contraddizioni del subcontinente. La metropoli più amata, odiata e invidiata dal resto del paese, un’accozzaglia di isole di sabbia dove si ammassano 15 milioni di anime (dichiarate, ma sono certamente molte di più), che per tutti rappresenta un sogno, e per molti si tramuta in un incubo. Qui puoi incontrare immigrati da tutti gli stati dell’India, e le loro incredibili storie di miseria e nobiltà, insieme ad una folta comunità di stranieri, tra cui non pochi, per scelta ben consapevole, ci si stabiliscono. Per un certo tipo di occidentali che amano l’India ma non vogliono rinunciare a un certo standard di vita culturale e sociale, infatti, Mumbai rappresenta il perfetto (e caro) compromesso. Anche se a volte molto stressante, se non insopportabile.

Bombay town ha un’architettura spettacolare e sorprendente, e mi chiedo quanto potesse essere bella, prima che la speculazione selvaggia cominciasse a devastarne il patrimonio urbanistico. Maestosi palazzi neo gotici, squadrati edifici art déco, casette colorate in stile portoghese, eleganti ville alla francese. Puoi girare l’angolo ed avere la sensazione di trovarti a Bruxelles, Parigi, o addirittura in Sud America o in qualche città dell’Italia meridionale, se non avessi accanto un tempietto con l’immagine di Shiva o uno slum giusto dietro l’angolo. E se è vero, come si dice, che l’India è l’unico paese al mondo ad ospitare tutte le maggiori religioni, a Bombay ne hai la prova vivente. Le chiese cristiane, i templi hinduisti e jainisti, le moschee, i gurudwara dei sikh,i luoghi di culto dei parsi zoroastriani, le sinagoghe. Scegli il tuo dio, qua lo incontrerai di sicuro, se non è andato a bersi una birra a Bandra, insieme a qualche collega.

Mumbai dunque. Finalmente ne ho avuto un assaggio, dello scenario dell’epopea romantica indo-occidentale di Slumdog Millionaire e Shanta Ram. La città dove in egual misura convivono lussuria capitalista e puritanesimo religioso-nazionalista. Il triste palco dei pogrom anti musulmani nel '92 e delle bombe del “venerdì nero” del ‘93, questa megalopoli ha da tempo una storia contorta e controversa. Ma molti, nel mondo, si sono improvvisamente ricordati della sua esistenza sgranando gli occhi davanti al televisore, di fronte all’istantanea del glorioso Taj Mahal, messo a ferro e fuoco negli attacchi del 26 novembre 2008. Allora, finalmente, anche il resto del pianeta si è accorto che il terrorismo islamico stava colpendo duramente, e a fondo, l’India. Eh sì, perchè questa volta, ahimè, c’erano di mezzo anche i fratelli bianchi.

In due giorni non si riesce a capire nulla di niente, figuriamoci se si tratta di una delle più grandi metropoli del mondo. Allora ci rinuncio. Per me, Mumbai resta un bacio rubato per strada alle tre del mattino del sessantesimo Republic Day indiano, con la speranza di rincontrarsi, un futuro incerto, e due dolcissimi occhi di fuoco in una notte ubriaca.

Ancora svegli, nella città che non dorme mai.

2 commenti:

Prisma ha detto...

Che meraviglia, questi racconti di vita e di viaggio! Per il tempo della lettura, sono stata catapultata dall'altra parte del mondo. Thanx for writing!

Domhir Muñuti ha detto...

mi fai venire voglia di raggiungerti. in realtà all'India penso spesso, un giorno o l'altro vorrei vederla.
Ma tu che ci fai ancora laggiù?