domenica 20 marzo 2011

Bombe


Nel 1999 scrissi il testo di una canzone, "Bombe", che credo di tenere ancora conservato da qualche parte. Parole scritte a mano in un quarto d'ora, buttate giù di getto, una melodia affrettata, talmente accennata da avermi mai fatto pensato seriamente di utilizzarla o farla sentire a qualcuno. In quel periodo, la Nato iniziava a bombardare la Serbia di Milosevic, con il benestare del governo D'Alema, e venivamo inondati dalle immagini di questa guerra alle porte di casa, tra paure, proteste, manifestazioni, incertezze . Poco tempo prima, era finita, senza che io riuscissi ad accettarlo, la mia prima vera, o presunta tale, storia d'amore. Le parole di "Bombe" riunivano in un'unica immagine le scie di luce e morte che illuminavano a giorno Belgrado, ed il bombardamento emotivo a cui mi sentivo sottoposto, inerme ed incapace di reagire. Era come se, ovunque mi girassi, vedessi esplosioni.

Ero a Parigi, nel 2003, quando iniziavano i bombardamenti sull'Iraq e la seconda guerra del Golfo. Ricordo una notte senza televisione, in una residenza universitaria nella periferia parigina, tra passaparola di studenti increduli pronti a scendere in piazza contro una guerra ritenuta ingiusta per il prezzo che ne avrebbero pagato i civili. La Francia di Chirac che aveva deciso di non intervenire per calcoli puramente politici ed economici mascherati da ragioni umanitarie. Ci siamo scesi, in piazza, in tanti, perdendo la nostra battaglia. Ricordo l'annuncio della guerra, e la bomba che quella stessa notte lanciai su Roma, su una storia di qualche mese che doveva finire, perché c'erano due strade prendevano direzioni opposte, e non potevano più ricongiungersi. La sensazione di stare cambiando profondamente, mentre intorno a me il mondo, le dinamiche restavano identiche.

Ci svegliamo una mattina, nel 2011, e la guerra é di nuovo alle porte di casa. Stavolta non e' l'Afghanistan, o qualche paese più o meno lontano di cui possiamo permetterci di non ricordare neanche il nome. I fuochi di Bengasi brillano solo a qualche miglia di distanza dalla Fortress Europe. Con i popcorn in mano e tanta genuina ammirazione, abbiamo salutato  gli insorti del nord Africa, tifando per loro dalle nostre poltrone e invidiando la loro incredibile voglia di cambiamento e di ribellione ad un futuro che sembrava già scritto. Finita la festa, ora preghiamo che non vengano a romperci le palle con la solita scusa, pensa te, di voler scappare da morte e distruzione.

Io non so davvero cosa sia più giusto. So solo che chi solo ieri vendeva armi e baciava la mano a un rispettato capo di stato, oggi lancia bombe per affossare un pericoloso dittatore. Ed eccoci allora di nuovo utenti di un videogioco di guerra globale, col popcorn che stavolta rischia di andarci di traverso. Cambiano i nomi e i paesi, ma le logiche, nella loro illogicità, sembrano restare terribilmente le stesse. 

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