mercoledì 24 agosto 2011

E alla fine mi piovi addosso, prevista ma sempre inattesa, come le tue, le nostre parole, sulle quali ci rigiriamo, ci aggrovigliamo sbattendo violentemente. Piovi ed allaghi le vertebre, ti insinui e svegli il corpo, che reagisce d'istinto, a pugni. Parole come pioggia di pietre, sculture raffinate e rozze composizioni, che si mischiano senza soluzione di continuità, ce le lanciamo addosso e fanno male in testa. Ti lascio cadere a terra, apro l'ombrello, ti respingo, ti raccolgo, completamente bagnato ti avvolgo. Continuo è il moto, l'inquietudine che ci impedisce di asciugarci e prosciugare, succhiare il midollo. Troppo orgogliosi, testardi, troppo scheggiati. Troppo. Parole di fuoco e sangue fragile, dietro le quali ci nascondiamo e ci azzuffiamo, quando a volte un silenzio basterebbe a riportarci in noi.

E tu diluvi irruenta, io sono il filo elettrico divelto da i morsi di cani rabbiosi, la fiamma divampa e divora gli alberi del bosco. Siamo due universi che per fondersi devono collidere ed esplodere. Un ossimoro, non un romanzo d'appendice.

Intanto ho milioni foto da editare, racconti che non scrivo, musica che non suona, e quella stessa maledetta sensazione di correre e rincorrere il tempo. In costante lotta contro la pigrizia e alla ricerca di perseveranza, sei il tarlo anarchico che mi fa creare bellezza e mi impedisce di cristallizzarla, perché tutto, tutto rotola troppo in fretta, e io ho il fiato corto, fumo troppo. Le dissonanze dispari dei nostri ritmi irregolari e incompatibili ricoprono echi di armonia, che risorgono violentemente portando la pace. Il respiro si fa più dolce, le parole si sciolgono e ritornano all'essenza. Ma non saremo mai ciò che non possiamo essere, se non in un'altra dimensione, ed è lì che si gioca tutto. Lì dove forse vorremmo vivere, lì dove non sappiamo come arrivare.    

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